LETTERA APERTA

12-03-2024

Abbiamo voluto rispondere alla lettera aperta di Elena Cecchetin al Corriere della sera del 20 novembre 2023. Abbiamo inviato la lettera allo stesso giornale che però non l’ha pubblicata. La condividiamo con voi.

 

Sono trascorsi più di tre mesi dall’assassinio di Giulia Cecchettin ad opera dell’ex fidanzato Filippo Turetta. La sua vita così crudelmente rubata ha lasciato una traccia indelebile dentro di noi e nello spazio pubblico, perché senza conoscerla, attraverso le testimonianze di Elena e Gino Cecchettin, abbiamo imparato ad amarla. Attraverso le loro parole, rimbalzate con fragore nei media nazionali, uno spazio pubblico poco avvezzo a testimonianze lucide e autentiche, è arrivata a tutti e a tutte noi una lezione di vita e di storia.

 

Non so se Giulia, che vive nel nostro ricordo, Elena e Gino Cecchettin riconoscano valore ad un luogo come Senza Violenza. Un Centro per uomini autori di violenze sessuali o sessuate, di genere, come si dice più spesso oggi, che abbiamo aperto a Bologna nel 2017, grazie ad un protocollo di collaborazione fra la nostra associazione – Senza Violenza – il Comune di Bologna, ASP Città di Bologna e la Casa delle donne per non subire di violenza, con un obiettivo preciso: offrire una sponda di cambiamento a uomini che riconoscono, per quanto parzialmente, di avere un problema con l’uso della violenza e vogliono smettere; che vogliono fermarsi prima di arrivare a gesti gravissimi e irreparabili come un femminicidio.

Noi ci riconosciamo profondamente nelle loro parole, perché crediamo nella necessità di un’assunzione di responsabilità rispetto alla questione della violenza contro le donne, non solo da parte degli uomini che la stanno usando o l’hanno usata, ma anche da parte degli “uomini buoni” come scrive Elena Cecchettin nella sua lettera aperta al Corriere della Sera del 20 novembre 2023; perché con lei crediamo che la violenza di genere sia innanzitutto un problema maschile.

 

Ha scritto Elena: Viene spesso detto “non tutti gli uomini”. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio. 

 

Siamo intrisi di culturale patriarcale. Come donne, facciamo i conti con questo da molto tempo, lo abbiamo fatto individualmente e collettivamente, sin dai gruppi dell’autocoscienza degli anni ‘60 e ‘70 del Novecento, per arrivare alle stanze dei Centri antiviolenza che da quella esperienza originaria del femminismo hanno elaborato un posizionamento e un metodo di lavoro, basato sulla relazione fra donne, diretto a restituire forza e orientamento a chi quella violenza l’ha subita o la sta subendo sulla propria pelle. 

L’uso maschile della violenza è un problema culturale ed è un problema di potere, rinunciarvi per un uomo può significare molto: affrontare l’angoscia di un’identità individuale e collettiva incentrata sulla cancellazione/riduzione a minus dell’altra/altro da sé e della differenza, che si sta (finalmente) sgretolando; fare i conti con l’insicurezza che deriva dalla mancanza di conferme sociali, se non addirittura dallo scherno, per aver rinunciato a stereotipi di forza,  dominio, controllo, competizione, distacco. Può significare rinunciare ai tanti privilegi così spesso dati per scontati, come la cura, l’accudimento femminile e l’accondiscendenza; accettare che l’altra esista “a prescindere”, autonomamente e indipendentemente dai propri bisogni e desideri.  Secondo quanto riportato dai media, Filippo Turetta, nel corso dell’interrogatorio di fronte al pubblico ministero di Venezia, ha detto qualcosa che si è sentito ripetere spesso: “In testa mi è scattato qualcosa" […] l'amavo, la volevo per me, non accettavo che fosse finita”.

 

Siamo un gruppo di donne e uomini, abbiamo creato nel 2013 a Bologna l’associazione Senza Violenza perché crediamo sia necessario un patto nuovo di civiltà fra uomini e donne, fondato sull’inviolabilità del corpo femminile, sulla rinuncia alla violenza e vogliamo contribuire a costruirlo, a partire da noi, dalle nostre vite e da un luogo “dedicato”. Perché crediamo che cambiare sia possibile anche per chi si è macchiato di responsabilità gravi, a partire però da alcuni presupposti: il riconoscimento delle violenze agite e la piena assunzione di responsabilità dei propri comportamenti, per arrivare infine ad identificare la posta in gioco più importante, ovvero un modo diverso di essere uomini e di vivere la propria mascolinità.

 

Ma la responsabilità non è solo individuale. È responsabilità delle istituzioni pubbliche far sì che gli intenti di porre fine alla violenza maschile, così spesso pubblicamente dichiarati e accompagnati da analisi che correttamente identificano la questione come una violazione di diritti umani fondamentali – che a tutt’oggi costringe le donne ad un prezzo altissimo per essere libere –, non rimangano lettera morta, una facciata ipocrita di “politicamente corretto”, che poco incide sulla realtà di ciascuna e ciascuno di noi.

Le politiche di contrasto alla violenza maschile contro le donne per essere “vere” necessitano di risorse, risorse innanzitutto per le donne, ragazze, ragazzi, bambine e bambini vittime dirette e indirette di violenza; per chi lavora da sempre al loro fianco a partire da una scelta consapevole di parzialità e “di parte” che ha scardinato modi di vedere e interpretare il problema e le singole situazioni di violenza, come le operatrici dei Centri antiviolenza del movimento politico delle donne; per chi – come noi di Senza Violenza – crede che il carcere sia un’istituzione violenta, sessista e socialmente gerarchizzante, figlia di primo letto del patriarcato, e vuole offrire a chi riconosce di avere un problema con l’uso della violenza un’opportunità di cambiamento e alla cittadinanza tutta un orizzonte diverso di significato delle relazioni fra uomini e donne e di ciò che si può fare quando accade una violenza, un modo di stare di fronte all’altra/altro rispettoso della sua alterità; risorse per un sistema sociale e sanitario al collasso, sempre meno in grado di garantire dei diritti costituzionalmente sanciti, di ridistribuire la ricchezza, di rimuovere ostacoli, come la mancanza di una casa, un lavoro, un salario sufficiente ad arrivare a fine mese, di fondamentale importanza per tutte e tutti, ma in particolare per chi vive in una situazione di violenza.

È una responsabilità sociale. La violenza sessuale e sessuata è un problema che ci riguarda tutti e tutte e che mette in primo piano la responsabilità maschile, non solo di chi la violenza la agisce ma anche di tutti coloro che vi assistono senza prendere posizione ed esprimere apertamente il proprio dissenso. E con Elena Cecchettin vogliamo ripetere: per Giulia e per tutte e tutti noi non facciamo un minuto di silenzio, “danziamo, danziamo, disertiamo le fila”, facciamo tanto tanto rumore.

 

Giuditta Creazzo, Gabriele Pinto, Paolo Ballarin,

Socia e soci fondatori, associazione Senza Violenza, Bologna

 

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